Pubblicato su politicadomani Num 85 - Novembre 2008

Una professione in bilico
Dove va il giornalismo?

In attesa di approfondimenti sul tema e di aprire un dibattito, proponiamo qui ampi stralci tratti dalla prima parte della proposta di riforma dell’Ordine, approvata all’unanimità il 17 ottobre a Positano dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, con una selezione di temi legati alla libertà e al diritto all’informazione

 

«L’informazione giornalistica registra ormai da diversi decenni trasformazioni profonde, rapide e continue. I suoi confini sono sempre più indefiniti e l’Ordine dei giornalisti, modellato su una realtà lontana quasi mezzo secolo, incontra molte difficoltà nel governare il cambiamento. Molti operatori dell’informazione lo vivono come una struttura a cui è faticoso accedere, e a volte anche come un ingombro. All’esterno della professione esso appare spesso una corporazione chiusa.
Il perdurare di questa situazione offre argomenti a chi sostiene che la sua abrogazione sarebbe una misura che liberalizza l’accesso alla professione, mentre al contrario consegnerebbe solo nelle mani degli editori il potere di decidere chi è giornalista e chi no. Diversamente da quanto sostengono gli abrogazionisti, la condizione difficile dell’informazione in Italia, la sua costante dequalificazione non sono riconducibili alle responsabilità dell’Ordine, bensì a quelle del potere politico, che non ha mai voluto affrontare in questi anni il problema della riforma, né quello di un riassetto organico dell’editoria».

«La legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti, 69/1963, ha compiuto ormai 45 anni. Le impostazioni di principio sono ancora validissime - anzi, si può dire che risultino persino più attuali e importanti oggi - mentre i dettami strutturali e organizzativi richiedono una profonda riforma. Infatti, nel tempo trascorso molte trasformazioni sono avvenute nel campo dell’informazione e dei media (basti pensare ad Internet, fenomeno inedito e largamente rivoluzionario, e al peso della TV come fonte primaria di informazione dei cittadini, quale non poteva essere immaginata all’epoca in cui il legislatore provvedeva a normare la professione giornalistica)».

«C’è da sottolineare che le rappresentanze dei giornalisti, in primis proprio quelle dell’Ordine, sollecitano da alcuni lustri un adeguamento normativo. Le legislature si susseguono, ma il Parlamento non è mai riuscito a mettere mano a modifiche di sostanza».

«Occorre distinguere tra l’informazione e altre libere manifestazioni, come le opinioni e più in generale ogni tipo di espressione. L’informazione, in regime democratico, non soltanto è un diritto, ma anche un dovere. Del diritto sono titolari sia i giornalisti (libertà di stampa) sia i cittadini tutti (diritto di essere informati); il dovere, invece, è in capo ai soli giornalisti, come esplicita la legge Gonella all’art. 2. Dire dunque che l’informazione la fanno i giornalisti, ed essi soltanto, lungi dal configurare una esclusione o una limitazione di diritti di tutti, rappresenta invece una garanzia democratica; e soprattutto non viola in alcun modo l’art. 21 della Carta Costituzionale, dove si riconosce a tutti il diritto “di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In concreto, non potrebbe, e non è riservata ai soli iscritti all’Ordine la facoltà di scrivere sui giornali o esprimersi con altri mezzi che ad essi si possono assimilare».

«I principi su cui si fonda la legge del 1963 sono pienamente da confermare. Essi sono ottimamente riassunti nell’art. 2: “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui”. E ancora “è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Importante, per una libera professione anche il comma che recita “Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse».

«È ovvia osservazione che, senza queste premesse, lo status del giornalista sarebbe riconducibile a quello di un impiegato, vincolato agli obblighi di fedeltà verso la propria azienda (art. 2105 Codice Civile). Non potrebbe esistere un potere del direttore di testata autonomo rispetto alla proprietà; né il diritto del singolo giornalista di difendersi da censure o modifiche apportate da altri a ciò che ha scritto. Cadendo poi il segreto professionale, le fonti fiduciarie non si sentirebbero tutelate, e la conseguenza sarebbe una pesante limitazione della possibilità di approfondire i fatti per poi riferirli al pubblico».

 

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